mercoledì 23 maggio 2012

Abbandonare la referenzialità

Per posta elettronica mi è arrivato l’invito ad una giornata studio, presso l’Istituto degli Innocenti di Firenze:

“Qualità del nido e autoformazione riflessiva”

I risultati di una ricerca nei nidi gestiti da Arca Cooperativa sociale.

Ho sempre ritenuto fondamentale, per la mia professione, trovare tempo per il confronto e la (auto)formazione. Trattandosi di un sabato mattina ho deciso di partecipare.

Sinceramente il sottotitolo mi incuriosiva molto. Negli anni ho partecipato a molti convegni, promotori: comuni, pubbliche amministrazioni, università, fino ad ora mi era sfuggita una valutazione a tutto tondo di una cooperativa.


Per curiosità mi sono riletta tutte le relazioni che ho redatto negli ultimi anni e, le parole “Qualità”, “Formazione”, “Integrazione”, “Coordinamento” “Rete dei servizi” ... , compaiono in tutti i miei resoconti.

Mi sono dimenticata una premessa: professionalmente nasco nel 1925, da una legge fascista, non me ne vergogno anzi, voltandomi indietro vedo la tanta strada fatta dai servizi alla prima infanzia e vado molto fiera della mia storia. Naturalmente è non solo una storia fatta di “pedagogia” ma, anche di lotte sindacali, di diritti riconosciuti, di scioperi, di conquiste, di sconfitte. Tutto questo per dire che sono una dipendente comunale (dal 1982 al 1995 precaria, dal 1995 dopo il superamento dell’ennesimo concorso, a tempo indeterminato).

Durante i miei primi anni ho avuto “l’onore” di lavorare con personale ex ONMI.

Ritenendo che ogni esperienza forma una persona, anche aver lavorato con persone con un livello culturale molto basso, mi ha sicuramente trasmesso qualcosa, anche se quel qualcosa era la consapevolezza di voler diventare un’educatrice diversa da loro.

Con grande emozione ricordo gli anni in cui ho lavorato in “Casa bambini”, al fianco di operatrici che ho ammirato per la loro semplicità, dalle quali ho imparato a fare l’acqua di riso, a prendermi cura di piccole cose del quotidiano, come pulire le scarpe per la mattina dopo o a strofinare con il palmo della mano il lenzuolo, all’altezza del volto, prima di riadagiare un bambino nel letto. Non c’è grande pedagogia dietro tutto questo ma amore e rispetto per coloro che si trovano in difficoltà.

Non è stato facile, durante gli anni ottanta, pensare che la gestione dell’educazione si stava avvicinando alle regole di mercato: “Di fronte a un bisogno ho più risposte e posso scegliere quella che mi soddisfa meglio”.

Fino a questo momento, vuoi anche per caratteristiche ben precise della società, il nido era l’unica tipologia di servizio. Molte delle battaglie fatte dal personale educativo erano legate a limitare le ore di apertura del nido perché spesso i bambini vi trascorrevano più ore  di quante ne lavorasse  un operaio in fabbrica.

Il cambiamento sociale, avvenuto in quegli anni, richiedeva, ovviamente e giustamente, la nascita di nuove tipologie di servizi.

Alla fine degli anni ottanta, ai convegni, ma anche all’interno delle realtà lavorative, si è iniziato a parlare di cooperative.

Ripensando a quei momenti mi chiedo:

    Politicamente e concretamente, come si è avviato questo processo di integrazione?
    Come si è “narrato”, alle educatrici e agli educatori questo cambiamento storico?
    Cosa si è fatto, realmente per favorire il fondersi di due realtà completamente diverse?

Indubbiamente offrire servizi di qualità all’utenza, era ed è obiettivo comune dei servizi pubblici e privati. Cosa si è fatto perché le due gestioni non tracciassero due strade parallele che, alla fine non si incontrano mai, invece di far sì che le sinergie si intrecciassero per offrire validi percorsi educativi?

Credo di dar voce a molte educatrici comunali, affermando che, politicamente, non sono stati fatti i giusti passi.

Leggendo un testo sull’autismo mi ha colpita questo passo, che sicuramente non ha una relazione con le mie domande ma, credo renda bene l’idea di ciò che abbiamo vissuto:

«[...] quando penso a un concetto astratto, come i rapporti con le persone, uso immagini visive, come quelle di una porta di vetro scorrevole. E’ necessario cominciare un rapporto con dolcezza perché, se ci si precipita troppo rapidamente in avanti, si rischia di mandare la porta in frantumi. Pensare alla porta non mi bastava. Bisognava che la varcassi realmente. Quando ero al liceo e all’università, mi servivo di vere e proprie porte per simbolizzare i più importanti cambiamenti della mia vita, come il conseguimento del diploma. La notte mi arrampicavo sul tetto del  dormitorio passando attraverso una botola per sedermi e pensare a come sarebbe stata la mia vita dopo l’università. La botola era il simbolo della consegna del diploma. Le porte mi servivano da linguaggio visivo per esprimere le idee che normalmente si traducono in parole» (Temple Gardin 1994, tratto da: «Che cos’è l’autismo infantile» Lucio Cottini, Carocci, 2002, p. 124-125).

...Un rapporto si inizia con dolcezza ...io credo che quello fra cooperative e personale educativo comunale non sia stato un rapporto dolce.

Al rientro dal seminario del 19 gennaio 2005 “Dalla parte dei bambini e delle famiglie”scrivevo

queste parole:

[...] Da non dimenticare che gli educatori possono essere la fonte di conoscenza e di formazione per i nuovi educatori, se questo non verrà fatto si perderà un elemento di integrazione fra le due tipologie di servizi - pubblici e privati- e si arriverà a creare una difficoltà in più nella gestione di questi ultimi.

A tutto questo e molto altro pensavo sabato mattina mentre ascoltavo il susseguirsi degli interventi.

Non ho apprezzato quello che ha detto Rosa Maria Di Giorgi, assessore all’educazione del Comune di Firenze.

Nelle sue parole ho avvertito come se, per risparmiare forze, si fosse chiusa un’epoca.

Le difficoltà economiche, l’impossibilità delle amministrazioni di assumere a causa del patto di stabilità cancellano, con un colpo di spugna, il lavoro di anni. Tutto ciò che le educatrici pubbliche, hanno fatto rispetto alla qualità, alla crescita culturale, alla formazione e affermazione di una professione ... automaticamente passa in altre mani.

Economicamente e politicamente è più semplice affidare i servizi educativi alle cooperative. Le famiglie hanno bisogno di riposte  e gli amministratori le forniscono.

I nuovi servizi e parte anche dei vecchi, saranno, da ora in poi, affidati alle competenti e qualificate cooperative.

Ma non si parlava di integrazione? Di complementarietà? Addirittura ho sentito parlare, con vanto, del “Tuscany Approac”, come modo tutto nostro di creare un sistema integrato di servizi, pubblici e privati.

Le parole dei pedagogisti sono state più miti, si è parlato di mix, fra pubblico e privato, della necessità di integrare queste due realtà.

Si è detto molto del controllo che i comuni devono esercitare sulle cooperative, dell’importanza del coordinamento zonale, come garante e come elemento, insieme alla formazione del personale indispensabile per sostenere la qualità.

La mia perplessità e anche sconforto sono però legati alla certezza che la voce “pedagogica” ha sempre contato poco al fianco di quella economico/politica e se è vero che quando tuona piove, sta per scatenarsi un vero e proprio acquazzone!

Sono sempre più convinta che dopo anni di lavoro c’è un patrimonio di “sapere”, in ogni gesto o azione delle educatrici pubbliche e, cattive politiche stanno facendo in modo che si disperda. Io ho appreso da personale più mature di me, sarebbe stato naturale pensare e fare in modo che le giovani educatrici apprendessero, a loro volta, da noi, questo sarebbe stato un evento naturale. Non sono i nostri preconcetti, ormai superati da molto tempo, a creare due “mondi” paralleli, ma politiche sbagliate che hanno creato antagonismo e competizione.

Quando penso al personale educativo delle cooperative, mi viene in mente una famiglia senza i nonni e, conseguentemente, al patrimonio emotivo/affettivo che i figli si perderanno. Al contempo, pensando alle educatrici pubbliche, penso a una famiglia senza figli ai quali donare il sapere dell’esperienza.

                                                                                                                                                          m.z.

1 commento:

  1. Leggendo questo post non potevo crderci. La situazione descritta sta capitando tale e quale al mio servizio. Un nido del forese che grazie agli sforzi delle educatrici negli anni era diventato un piccolo gioiello,fortemente radicato e integrato nel territorio e sostenuto da tutta la cittadinanza e gli organi locali. Ora con il pretesto dei tagli questa meravigliosa realtà per la quale tanto duramente abbiamo lavorato passerà ad altri. E non certo dolcemente, ma frettolosamente e con poco tempo per capire quel che ci stava accadento.
    Le parole qualità, integrazione, formazione lasciano il posto a profitto,bilancio, numeri.
    E a noi educatrici restano i bellissimi ricordi ma soprattutto tanto amaro in bocca....

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