mercoledì 16 maggio 2012

Insegnare

“Ma lei si è fermato a maestro? Glielo chiedo,perché mia figlia ha proseguito ed è diventata professoressa”. Questo mi chiese un giorno una conoscente. Infatti oggi, nell’epoca delle lauree brevi e dei dottorati , fare il maestro significa essersi “fermato”. Quando però mi sono diplomato all’Istituto magistrale”C.Sigonio”era il luglio del 1968 e,  per l’epoca, il figlio di un falegname e di un’operaia che diventava maestro era segno che nello studio niente lo fermava. I prof delle medie dandomi la licenza avevano scritto che potevo continuare a studiare ai licei o alle magistrali. Tuttavia  in famiglia la discussione se farmi continuare  negli studi era stata sempre molto accesa. Alla fine delle medie era mio padre ad essere contrario, mentre alla fine delle magistrali era mia madre ad opporsi al mio ingresso all’università. Entrambe le volte, alla fine, prevalse la volontà di farmi continuare e di proseguire il riscatto sociale e culturale di una famiglia in cui mia madre passava per l’intellettuale, perché era riuscita a finire la quinta prima di essere mandata a lavorare in campagna, e mio padre invece aveva appena la terza elementare. L’avversione di mia madre per  l’università era dovuta esclusivamente a ragioni economiche: era ora che anch’io diventassi una voce in attivo nel bilancio familiare. Perciò, quando dopo pochi mesi dalla maturità venne bandito il concorso magistrale corsi subito a farlo.


Anzi andai a sostenere l’esame in provincia di Varese,su consiglio del mio insegnante di Didattica. Infatti il maestro Ricchetti ci aveva detto che lì la graduatoria si esauriva tra un concorso e l’altro, anziché allungarsi come a Modena, e perciò c’erano più speranze anche per noi giovani che non avevamo altro punteggio se non quello del diploma. Al concorso andammo in otto ma soltanto in due riuscimmo a superarlo.

Così il primo ottobre 1969 mi ritrovai dall’altra parte della cattedra a soli diciannove anni senza aver mai fatto supplenza. L’unica esperienza,se così si può dire,di insegnamento era stata una “lezione”sulla macchina a vapore che l’insegnante di Didattica mi aveva fatto tenere insieme al mio compagno Tiziano a dei bambini di classe quarta delle scuole elementari “Pascoli”.(siccome le ore di didattica erano poche e noi eravamo in 35,il prof era stato costretto a formare delle coppie per riuscire a farci provare tutti) Il maestro Ricchetti rimase entusiasta di quella mia prima prestazione professionale,tanto che al ricevimento disse a mia madre:”Suo figlio è nato per fare il maestro”. A dir la verità io ero uno dei pochi della mia classe convinto e deciso a fare l’insegnante,mentre la maggior parte dei miei compagni negava il benché minimo interesse per la professione,che invece poi quasi tutti hanno fatto un volta diventati grandi,anche se quasi nessuno si è fermato a maestro ma ha proseguito e sono diventati professoresse di scuola media o delle superiori. Non voglio certo dire con questo che l’insegnante deve essere un missionario,posso solo dire che la motivazione mi è stata di grande aiuto in questi 40 anni e molto spesso ha fatto rima con soddisfazione;perché le più grandi soddisfazioni in questo mestiere le ho avute quando mi è sembrato di aver contribuito a far continuare a studiare quei bambini per i quali non era così scontato,ma anzi molti erano pronti a scommettere che si sarebbero fermati presto,troppo presto. Del resto io stesso non saprei individuare con esattezza tutte le ragioni che hanno contribuito a formare e a tenere viva la mia motivazione ad insegnare. Certo alcune di queste ragioni sono evidenti.

Adesso, per mia fortuna, ho una figlia che non si è fermata maestra, si è laureata in lingue e letterature straniere a Parma, ha fatto il dottorato a Bologna in francofonia, ha tradotto una decina di libri, e attualmente è insegnante precaria senza abilitazione. Proprio oggi mi ha detto che per il TFA deve pagare 100 euro per ogni disciplina per cui si intende sostenere l’esame (nel suo caso 3:inglese,francese,tedesco) e, se si viene ammessi,più di 2500 euro per frequentare un corso che corrisponde a un full time e che perciò le impedirà di lavorare per un anno. Ai miei tempi la scuola era un ascensore sociale e una delle mie motivazioni stava proprio nella speranza che lo fosse anche per i miei alunni, invece mia figlia ha preso l’ascensore, non si è fermata, è salita fino all’ultimo piano per scoprire che sopra all’ attico non c’era più niente, non c’era un lavoro, non c’era un futuro migliore.
Dopo anni di campagne di stampa contro gli insegnanti definiti scansafatiche o pedofili ,si è passati ai fatti tagliando cattedre in tutti gli ordini di scuole. Adesso l’anatema è contro i giovani “bamboccioni”per evitare che si ribellino a una società che ha tagliato loro il futuro. Per questo il 1°maggio non avevo niente da festeggiare.

Arturo Ghinelli

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