lunedì 8 ottobre 2012

Gli insegnanti: “ponti” dinamici nel processo educativo

Francesco Barone 
Pedagogista - Docente di Metodologia del gioco Università di L’Aquila 

La consapevolezza dell’efficacia e dell’urgenza diapprendimenti “sul campo”, oggi rischia di essere travolta da un triste e  pericoloso approdo alle realtà virtuali, distanti dalla vita dei bambini, dalle loro esperienze e dalla possibilità di un vissuto emotivo autentico. Emerge sempre con maggiore intensità, che l’impianto educativo disciplinare scava un solco profondo tra saperi ed esperienze scolastiche ed extra-scolastiche, tra epistemologie del controllo procedurale ed epistemologie dell’evoluzione. L’idea pedagogica sottesa all’interesse per i luoghi e gli spazi “formali ed informali”, vuole ispirarsi a una visione pratica dell’apprendimento, volta a stimolare la relazione interpersonale, l’osservazione e la ricerca dei significati. In poche parole, si insegna e si impara ascoltando, facendo e vedendo fare. Questo tipo di apprendimento è certamente molto importante, in quanto, gran parte di ciò che si apprende in molte situazioni della vita di ogni giorno, deriva dall’osservazione diretta delle cose e delle persone. Come per esempio, un bambino impara osservando le espressioni e i comportamenti della “sua” educatrice/insegnante.

Apprendere osservando è un processo efficace che in molti casi consente il miglioramento dei laboriosi meccanismi o del modellamento del comportamento. Più in generale, si può ritenere che un apprendimento è il risultato dell’interazione contemporanea con un ambiente fisico, con un contesto sociale e con l’ambito individuale. Educare e insegnare nel luogo, significa rendere quel luogo, scuola o luogo educativo. Una didattica che fa del luogo non soltanto il suo oggetto di speculazione scientifica, ma lo assume come strumento e opportunità di crescita per l’individuo, si inserisce coerentemente in un’ottica di rispetto e di valorizzazione dei processi socio-affettivi dell’individuo medesimo. Ecco perché si può affermare che pianificare un percorso didattico-educativo in un “luogo”, significa anche ritenerlo un “laboratorio delle emozioni”. Come è noto, una delle sfide della scuola e della società attuale, risiede proprio nella capacità di contrapporre i luoghi antropologici ai non-luoghi, ossia a tutti quegli spazi in cui  milioni di individui, pur incrociandosi, non entrano mai efficacemente in relazione tra loro. Per tali ragioni, infatti, un luogo educativo è prima di tutto un contesto in cui emerge la necessità di creare buone relazioni. Nei luoghi educativi bisognerebbe parlare sottovoce, lentamente e con l’intento di farsi comprendere. L’educatrice/insegnante dovrebbe proporsi come fosse un ponte, figura che meglio di altre esprime l’idea e la necessità  di comunicare. Il ponte è il luogo dove nessuno si sente straniero, è lo spazio che unisce parti visibilmente opposte.  Il ponte è testimone muto di coloro che tante conoscenze vorrebbero esprimere e rivelare e che per ragioni legate alle regole dello sviluppo evolutivo non sono in grado di fare. Poiché “tutto è passaggio”, si è sempre più desiderosi di andare verso l’altra parte per cercare qualcosa su cui riflettere o più semplicemente custodire. Meglio di qualsiasi altra cosa, il ponte rappresenta la speranza di riuscire a collegare, unire, integrare e ci si auspica che questa speranza non venga mai disattesa. Questa struttura, a volte sospesa, altre volte sorretta da massicci pilastri, consente di consegnare, accompagnare e aiutare. Il ponte permette all’individuo di comprendere ciò che ha costruito per il superamento della propria solitudine e della propria individualità. Dove ci sono i ponti, c’è fusione e contaminazione, c’è l’esperienza di unità e diversità. Laddove ci sono gli educatori e gli insegnanti, dovrebbe prevalere la consapevolezza del delicato e significativo compito cui sono chiamati a svolgere. Tale consapevolezza scaturisce dall’acquisizione del senso della “pedagogia molecolare”, in cui l’insegnante saprà riconoscersi come tale, se sarà in grado di essere competente, avere passione per il proprio lavoro e rispettare concretamente i propri allievi. Il ponte unisce due sponde e non ostacola il fluire delle cose che al di sotto scorrono. A volte oscilla troppo, scatenando la paura di cadere nel vuoto, altre volte, invece, appare perfettamente stabile consentendo il susseguirsi di passi sicuri diretti verso nuove mete. L’immagine del ponte come simbolo, denota la volontà della persona di voler superare l’isolamento. E’ questo suo carattere “motorio” che consente alla persona di mettere in moto la propria immaginazione, pensando a quanti corpi e idee nel tempo trascorso l’hanno attraversato. Il ponte rappresenta lo spazio di condivisione dove si combinano giochi, realtà e paradossi, e, nel contempo, si configura come luogo neutro, a volte triste, altre volte allegro, costretto a volte, ad osservare due danze opposte che preferiscono confliggersi anziché fondersi. Il ponte, però, non rappresenta esclusivamente l’idea di passaggio, di attraversamento, è il simbolo vivente della storia e custodisce pezzi di memorie umane. L’allargamento degli orizzonti da parte di ciascuno è condizione necessaria per comprenderli. Dunque, si può senz’altro ritenere che un luogo educativo di apprendimento, accresce la sua autenticità se possiede una sua storia, una sua memoria e una sua chiara identità. Un approccio in questa direzione, non può non ricorrere a una ri-definizione anche dei luoghiin cui: 1. il sapere è da intendere come “opera aperta”, ossia come intreccio tra saper fare, saper ascoltare, saper stare insieme agli altri, al fine di superare le eventuali trappole epistemologiche dei concetti; 2. l’apprendimento, da intendere come condizione aperta al riconoscimento della condivisone dei saperi; 3. il sapere da intendere come processo dinamico di nomadismo delle idee. Si potrà parlare, in tal senso, di un tipo di apprendimento evolutivo, che consentirà ai bambini di prepararsi per stare insieme e viaggiare i mondi. Sarà così possibile aprire un percorso di complementarietà in grado di fare emergere l’opportunità di sviluppare i “valori evolutivi” connessialla promozione delle “etiche evolutive”, quali ad esempio, l’etica relazionale e l’etica sociale. All’educatrice viene così affidato il compito e la possibilità di rappresentarsi come ponte, per consentire ai bambini di posizionarsi e osservare le parole che scorrono e che costituiscono i mattoni con i quali costruire la loro storia.

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