venerdì 8 marzo 2013

Lavagne

Ho tanta nostalgia di poter rivedere all’interno delle aule delle scuole  le lavagne con il gesso. Quelle lavagne antiche, con il sapore di cultura e di conoscenza, erano bellissime. Il contrasto dello sfondo nero con le scritte bianche, faceva pensare istantaneamente a un paesaggio in bianco e nero, poi invece, quando il maestro o un compagno di classe leggeva le parole scritte, quel paesaggio diventava improvvisamente a colori. Con i gessi colorati, alcuni compagni di classe, rendevano la lavagna una tela sulla quale si delineavano i tratti indelebili di una scuola semplice e mai complicata. In molti casi, la classe “iniziava da lontano”, usciti di casa percorrevamo un tratto di strada insieme, preparandoci informalmente ai riti  della scuola formale.


Sulla lavagna venivano scritte le vocali, di seguito le altre lettere dell’alfabeto, poi i numeri da uno a dieci, poi venivano disegnate le figure geometriche oppure altre figure astratte. La scrittura era lenta, il gesso sulla lavagna si muoveva adagio per mano dell’alunno, consentendo a chi leggeva, di apprendere e memorizzare avendo a disposizione il tempo necessario. Ciascun alunno manifestava il proprio tratto grafico, “esponendo” il proprio talento creativo, mentre surrealismo e dadaismo  si alternavano e si intrecciavano in un quadro estetico completo di singole originalità.

A volte sulla lavagna venivano scritti i nomi degli alunni buoni o “cattivi”.  A quella lavagna sono ancorati i ricordi di una scuola in cui, oltre  all’acquisizione dei saperi, si  distinguevano i profumi delle arance sbucciate o delle viole portate in classe. Il mio ricordo visivo si è fermato agli abiti del maestro e ai nostri grembiuli imbiancati dalla polvere del gesso. 

Era il tempo dei quaderni, dei libri, delle matite e delle penne. I quaderni, inizialmente spogli di inchiostro, a fine anno scolastico si trasformavano in semplici ma significative enciclopedie personali che si custodivano per mostrarle ai propri genitori. Era il tempo in cui aspettavamo con ansia i giudizi del maestro scritti sul quaderno. Il giudizio “bravissimo”, scritto con la penna rossa e con direzione tendenzialmente ascendente, al termine di un riassunto o di un dettato, rappresentava il simbolo di una gratificazione da condividere con i genitori. Vicino alla lavagna era posta di solito la cattedra, un mobile quasi sempre sobrio, fatta eccezione durante i momenti in cui il  maestro raccoglieva i quaderni degli alunni. Il registro, invece, si configurava per l’alunno, come l’oggetto da sfogliare di nascosto per sbirciare i voti.

Intanto, la lavagna sorniona, si godeva le scene di felicità o di ansia che caratterizzavano le nostre giornate scolastiche. La lavagna era un oggetto statico, rimaneva impassibile di fronte al nostro timore di essere interrogati. A volte diventava complice quando ci consentiva di scrivere timidamente, con caratteri minutissimi le formule matematiche che ci avrebbero reso meno faticosa l’interrogazione. Le ore venivano scandite dal suono della campanella. E’ superfluo dire che il suono più fastidioso era quello che indicava l’ingresso. Tra tutti, il suono più atteso era quello che annunciava la ricreazione. Durante le prime ore, oltre allo svolgimento dei compiti, pensavamo alla custodia diligente delle nostre merende. Il rischio di essere sottratte da qualche compagno di classe era reale. Nonostante ciò, ogni qualvolta un compagno non ne disponeva, eravamo pronti a donargli parte della nostra. Il maestro si rallegrava alla vista di quei gesti. Insieme eravamo impegnati a costruire una comunità educativa, disposta ad aiutare e ad aiutarsi. La ricreazione consisteva in circa mezz’ora di apparente relax, di soste e corse per i corridoi, tentando di sfuggire alla vigilanza dei maestri.

Su quelle lavagne sono stati impressi secoli di conoscenza. Su quelle lavagne si sono specchiati milioni di persone: maestri e alunni. Intorno a quelle lavagne si sono realizzate intense relazioni interpersonali.

Il contrasto netto tra il nero della lavagna e il bianco del gesso, ha rappresentato  il valore dell’apprendimento duraturo. Nonostante si cancellassero spesso le parole scritte sulla lavagna, restano indelebili i valori educativi di quelle stesse parole.

Della lavagna vorrei cancellare solo un’immagine: quella di un alunno vivace, che a causa di un maestro un pò  indisciplinato,  vi  è  stato collocato dietro.
                                                                                                                  
Francesco Barone
Docente di Pedagogia e di Metodologia del gioco e del lavoro di gruppo
Dipartimento di Scienze umane - Università di L’Aquila

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