martedì 25 giugno 2013

La democrazia ha un costo, non ha un prezzo

da Bambini, giugno 2013


Lo spunto per questa riflessione nasce dal referendum che si è tenuto a Bologna il 26 maggio scorso. Non ci interessa né la percentuale di partecipazione né il risultato della consultazione. Precisiamo anche che non condividiamo l'iniziativa: non perché siamo schierati da una o dall'altra parte, ma perché riteniamo che l'applicazione dell'art. 33 della Costituzione oggi in Italia, non possa utilmente essere affrontato nella contrapposizione tra due posizioni radicali che portano probabilmente entrambe a risultati sbagliati. Fatte queste premesse, riteniamo importante affrontare l'argomento come stimolo a riflessioni e iniziative più articolate.

Sgombriamo immediatamente il campo dall'argomentazione che con più vigore è stata avanzata e cioè quella del risparmio derivante dalla presenza di scuole “private”. È inaccettabile ridurre il problema ai termini del “minor costo” come se questo fosse un valore in assoluto o se il sistema non fosse suscettibile di modifiche e miglioramenti: se è possibile fornire un servizio a costi inferiori rispetto a quelli che caricano oggi il “pubblico”, garantendo la qualità, discutiamo i criteri della spesa e abbattiamo gli sprechi e le inefficienze. Se un servizio di qualità richiede costi superiori a quelli offerti dal privato, poniamoci il problema se esiste realmente un risparmio, o se questo avviene sulla pelle dei lavoratori, dei bambini o dove che sia.

La risposta non può essere semplicemente eliminare il contributo alle scuole private. Ci sembra che anche in questo dibattito uno degli equivoci di partenza stia nella concezione che abbiamo (o che usiamo) dello Stato come qualcosa di diverso, di alieno, da noi cittadini/e. Forse è un retaggio dei grandi sistemi filosofici, ma se ci ancoriamo alla realtà concreta e quotidiana e interpretiamo lo Stato come la società che nasce da un patto di convivenza in cui tutti e tutte e ciascun cittadino/a è partecipe e protagonista, un patto che è funzionale allo stare bene insieme e che, quindi, si sviluppa e si modifi ca con la maturazione dei cittadini/e, la crescita sociale, culturale, l'evoluzione dei costumi e dei rapporti, allora potremmo tentare anche una lettura più dinamica e aderente dell'articolo 33. “La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi” . Se la Repubblica siamo Noi, nelle aggregazioni sociali democratiche decentrate, allora il problema vero è quello di gestire le “nostre” scuole, di farle rispondere alle richieste della comunità in cui sono istituite, di renderle spazi aperti e trasparenti di democrazia, luoghi di confronto dove i cittadini e le cittadine partecipano alla crescita della nuova cittadinanza, preparano e costruiscono il loro futuro. Un serio decentramento e una vera autonomia scolastica possono essere i primi passi di questo processo.

Solo se i cittadini e le cittadine si riprendono la gestione della “cosa pubblica” (in questo caso della scuola) in maniera diretta supereremo il problema. Perché allora non è più questione di affidarsi ad altri per risparmiare, ma è gestire la “cosa nostra” nel modo più oculato. E allora chi non ci sta a una scuola di tutti, si mette fuori, esce dal processo democratico e quindi se vuole costruirsi il suo bunker esclusivo, deve anche pagarselo. Certamente la “cosa nostra” costa impegno, energie, presenza, ma il risultato non ha prezzo.


F.C.

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