lunedì 10 giugno 2013

SEPARARSI? SI’, GRAZIE!

Il lattante e l’inserimento al nido.


Emanuela Guarcello
Pedagogista e Professoressa presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Torino
Morello Silvia, Rossa Vilma, Galetto Ornella e Armellino Sandra
Educatrici dei Nidi Comunali della Città di Pinerolo (TO)
Marta Macarrone
Studentessa della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Torino



Il nido, pronto ad accoglierti dal compimento del tuo terzo mese di vita,
ha un bel suono la parola nido, è bella l'immagine che rievoca nella mente,
di un luogo sicuro, protetto, caldo, accogliente, nutriente... come il corpo della mamma!
Il corpo della mamma, il tutto dal quale non sai ancora di essere staccato.
Il corpo della mamma, culla e terra della tua storia.
Storia di suoni ovattati, d'immagini confuse, di luci e sfumature, di spazi ridotti, di acqua,
di profumi e gusti sconosciuti.
La tua storia che è storia di un dolore, di un grido, d'istinto, di battaglia, di avventura,
di vittoria, la storia unica del tuo parto.
Il nido pronto ad accoglierti con questa storia, scritta a quattro mani con la tua mamma, intrisa di fascino e mistero, emozioni, potenza e meraviglia!?

I bambini della sezione piccoli arrivano al nido in un'età compresa tra i sei e i dodici mesi, pur essendo possibile l'inserimento a partire dai tre. Hanno trascorso il loro primo periodo di vita quasi esclusivamente con la madre che spesso prosegue ancora l'allattamento al seno, mantenendo un rapporto molto intimo e stretto con il proprio bambino. La mamma, quindi, non è sempre pronta al distacco da un bimbo che fino a quel momento ha accudito in forma esclusiva, così come anche il bambino stesso. Infatti, a quest'età, il piccolo non ha ancora il concetto della “permanenza dell'oggetto” - fino a sei mesi/nove mesi del bambino ciò che è fuori dalla vista per lui non esiste più. Tuttavia, per Renee Baillargeon e colleghi (1995, 2002, 2004, Aguiar e Baillargeon, 2002) i bambini di 3-4 mesi si aspettano che gli oggetti siano “sostanziali” (non possono essere attraversati da altri oggetti) e “permanenti” (continuano a esistere anche se nascosti) ( Santrock, 2008, p. 127) - , per cui quando l'oggetto-madre scompare dal suo campo visivo è perso, generando una sensazione di abbandono. Solo grazie alle successive sperimentazioni riguardo all'andare e tornare dell'adulto, egli potrà assimilare il concetto di permanenza e, quindi, il relativo senso di rassicurazione sulla certezza del ritorno dell'oggetto amato.
A fronte di ciò, la fase dell'inserimento risulta essere particolarmente delicata sia per il nucleo familiare, sia per il contesto nido che si appresta ad accoglierlo. Questo è reso ulteriormente complesso da alcuni aspetti propri del contesto in cui ci troviamo a vivere oggi. Infatti, le nuove tipologie di lavoro (a chiamata, precario, …) fanno sì che i tempi del congedo parentale siano molto contenuti (cinque, sei giorni). Oltre a ciò, il servizio-nido strutturato a richiesta individuale, caratterizzato dal pagamento di una retta completa a partire dal primo giorno di ammissione, spesso rappresenta un ulteriore elemento che induce la famiglia alla necessità di un inserimento completo del bambino già dai primi giorni di frequenza, generando la concomitante presenza anche di una decina di bambini da accogliere nello stesso giorno. Tali inserimenti plurimi di lattanti possono esporre a situazioni di confusione e disequilibrio, nelle quali individuare modalità per offrire sufficienti attenzioni sia al bambino che al genitore diviene una sfida interessante e complessa.

Il genitore e il bambino: un' alleanza possibile per l'educatore?

Di fronte a tale sfida un fattore di potenziale successo è la costruzione di un rapporto sufficientemente buono con il genitore, spesso presupposto per una relazione costruttiva anche con il bambino.
Il colloquio: esperienza e riflessione
Il colloquio ne rappresenta la prima occasione istituzionale ed è, quindi, un momento delicato e importante. Tale opportunità permette all'educatore di esplorare alcuni ambiti di interesse in tempi precedenti rispetto alla conoscenza del bambino:
- l'esperienza del nucleo familiare: ad esempio, i mutamenti che la nascita ha comportato negli equilibri gestionali quotidiani; le relative strategie di fronteggiamento, l'immagine che il genitore ha del bambino (Zonca, 2009);
- le motivazioni del genitore alla frequentazione del nido: aspettative e timori;
- le informazioni sulle abitudini di vita del bambino: tempi e modalità con cui pone le richieste, alimentazione (quantità e modalità), addormentamento, tolleranza della frustrazione;
- gli oggetti di uso quotidiano per il bambino (tettarella, ciuccio, cuscino);
- le informazioni sul modello organizzativo del servizio.
Tra gli aspetti indicati, un elemento di grande interesse è la possibilità che l'educatore promuova spazi, anche brevi, di riflessione rispetto all'esperienza (Knowles, 2010) del genitore. Ciò, infatti, può porre le basi del nuovo percorso di apprendimento al nido per il bambino (e anche per il genitore), creando i presupposti del confronto riflessivo (Schon, 1993) su cui si basa l'alleanza educativa nido-famiglia. Questo è possibile solo a condizione che siano rispettati dall'operatore l'assenza di giudizio e l'accettazione incondizionata del genitore (Cavalli, 2011):
“Accettare all'estremo che il genitore possa non condividere la necessità di instaurare una relazione con il servizio a cui affida il figlio”.


Oltre il colloquio: l'inserimento in azione
Spesso nei servizi le modalità di colloquio, per necessità organizzative o abitus professionali, non sono pienamente attente all'esplorazione dell'esperienza del genitore, concentrandosi sulla raccolta di dati tecnico-operativi che si rivelano non esaustivi per progettare ed eseguire un inserimento quanto più possibile rispettoso delle necessità del bambino. Infatti, la fase di ingresso del piccolo al nido solo marginalmente è accompagnata da una serie di fattori tecnico-razionali, ma anche da altri aspetti emotivi e affettivi che caratterizzano l'esperienza-separazione, di cui il genitore può essere relativamente consapevole: ad esempio, ansie e sensi di colpa del genitore trasmessi involontariamente al bambino, senso di rifiuto percepito dal genitore qualora il bambino non mostri segni di particolare disagio al distacco oppure, in caso di manifestazione di fatica nella separazione, attribuzione della stessa a fattori al piccolo.
Anche a fronte di ciò, il percorso di inserimento, in armonia con i vincoli (limiti e risorse) offerti dal sistema-nido, può rappresentare un momento privilegiato di studio e di riflessione rispetto a buone pratiche di lavoro che possono prevedere momenti in cui la mamma e il bambino trascorrano del tempo insieme all'interno della struttura in modo tale che l'educatore possa osservare le dinamiche relazionali esistenti, con particolare riguardo ad alcuni aspetti di cui dovrà farsi carico (il cambio, il sonno, il pasto). Essi potranno essere segnati all'interno della scheda-inserimento, arricchita dalle osservazioni dei membri dell'equipe. Inoltre, qualora possibile, l'educatore potrà inserirsi gradualmente nel campo visivo del bambino, rassicurato dalla presenza della madre, che si allontanerà da per tempi sempre maggiori.

Separarsi: operatori allo specchio

In questa fase il coinvolgimento emotivo è notevole anche per le educatrici perché sono messi in gioco aspetti della propria personalità. Tra essi troviamo l'essere madre e, dunque, ricordare o immaginare il dolore provato nei momenti dell'allontanamento del proprio figlio ancora lattante, l'attaccamento a particolari bambini e la sofferenza data dalla sensazione di non poter soddisfare le loro esigenze, il ricordo di personali distacchi e del relativo senso di abbandono.
Al fine di contenere il vissuto di disequilibrio può essere essenziale il lavoro all'interno dell'equipe. Il confronto tra colleghe può rivelarsi un supporto utile sia a livello pratico-quotidiano sia teorico-elaborativo. Lo scopo è che ciascuna educatrice si avvicini al raggiungimento di una giusta ‘distanza' relazionale rispetto a soggetti ed eventi in gioco per ottenere relazioni soddisfacenti e stimolanti.

Tanta fatica per … darsi una struttura!

La separazione che connota l'inserimento, con la fatica in essa insita, non è fine a se stesa. Al contrario, infatti, è volta alla creazione per il bambino di nuovi riferimenti adulti che si vadano ad affiancare alla famiglia nel complesso percorso di costruzione della sua struttura identitaria. Essa si compone di molteplici e complessi aspetti, tra i quali troviamo gli apprendimenti affettivi connessi alla strutturazione della fiducia di base (Bowlby, 1989). Essa si costruisce, sviluppa e potenzia attraverso tre assi: tempestività, coerenza, adeguatezza (Santrock, 2008). Tali capi saldi sono fondamento della possibilità del bambino di crescere sapendo che fuori di sé esistono adulti prevedibili che intervengono in suo favore qualora necessario, che il mondo esterno non è minaccioso e che il proprio richiamo all'attenzione dell'adulto è efficace (sono ‘capace' di raggiungere gli obiettivi desiderati/necessari per la sopravvivenza). Al contempo, tempestività, coerenza, adeguatezza sono anche altrettanti punti fermi necessari per la proposta, da parte dell'adulto, di regole e ritmi di vita al bambino, che gradualmente si adatterà a quanto richiesto dalla cultura e dalla società di appartenenza. Questi tre aspetti costituiscono elementi preziosi sui quali potrà edificare la propria struttura personale e rappresentano altrettanti significativi nodi da affrontare nel dialogo con i genitori. La fatica dell'inserimento, infatti, non è vana, ma è volta proprio ad aprire il percorso di collaborazione con la famiglia per la costruzione della struttura del bambino, rispetto alla quale il nido molto può fare di quanto a casa è difficile o pressoché impossibile.

Tempestività
Spesso nelle organizzazioni la tempestività non è pienamente congruente con la gestione di ampi spazi ed elevati numeri di persone; si tende, quindi, a insegnare al bambino a ‘procrastinare la gratificazione' rispetto alle proprie richieste, capacità che egli acquisisce gradatamente e che è bene non sia sollecitata in modo troppo intenso in età precoci (Spitz, 2009). Il pericolo, infatti, è l'ingenerarsi dell'assenza della domanda (ad esempio il pianto) poiché il bambino è consapevole che non esisterà alcuna risposta. Tuttavia, in tempi accettabili dal bambino e ragionevoli (più il bambino è piccolo più devono essere brevi) è possibile accompagnare la dilatazione dei momenti di gratificazione con gesti e suoni dell'adulto comprensibili e rassicuranti: parlargli da vicino, prenderlo in braccio anche se brevemente, cullarlo, portargli il succhiotto. Sarà il bambino stesso che, con il passare del tempo, capirà che modalità e tempi, ma non tempismi, sono diversi da casa a nido.

Coerenza
L'azione educativa motivata da obiettivi di senso condivisi e costanti, altrimenti intesa come coerenza, necessita di dialogo e confronto continuo all'interno dell'equipe e con la famiglia. Infatti, molteplici sono gli ambiti possibili di incoerenza: con se stessi, con i bambini, tra colleghi/adulti. In realtà, una convergenza piena degli obiettivi e delle strategie tra tutti gli attori coinvolti è pressoché impossibile. Tuttavia, la costanza di stimoli e risposte,
almeno in capo al singolo adulto, è una fonte preziosa per la crescita del bambino, in quanto rende l'adulto ed il suo contesto prevedibile, dunque controllabile da parte del bambino (Cyrulnik, 2002).

Adeguatezza
Adeguatezza come ‘antidoto' alla genericità: per dare risposte, in una certa misura, adeguate al singolo soggetto occorre conoscerlo, soprattutto se si fa riferimento ai bambini più piccoli (6- 12 mesi ). Infatti, con essi inizialmente le risposte e gli interventi si basano sull'interpretazione dell'educatore, maggiormente puntuale tanto più è stata curata la fase dell'inserimento ed il relativo dialogo con il genitore. Con il passare del tempo e con la conoscenza che si acquisisce del singolo bambino, di ciò che lo calma e lo fa stare bene, gli interventi possono diventare sempre più personalizzati (Labertonier, 1958) e, quindi, più adeguati.

Separazione, futuro e speranza
Tempestività, coerenza e adeguatezza non sono volte, nella misura in cui è possibile perseguirle, all'eliminazione del pianto nel bambino piccolo, ma alla possibilità che sia accompagnato nella significazione di ciò che accadendo (Cyrulnik, 2002), trovando forme possibili e reali di ascolto e contenimento da parte dell'educatore. Tali modalità possono cercare un collegamento, non sempre facile e perseguibile, con il contesto familiare e divenire occasioni di dialogo e di costruzione della tanto cercata, ma poco trovata (a volte!), alleanza tra casa e scuola. Una scuola che offra lo spazio e le opportunità affinché il bambino impari, gradualmente ma da subito, che nonostante i vincoli del contesto (il nido così come il futuro stesso, precario e instabile) esiste un'incrollabile speranza. La speranza che il mondo non sia solo un luogo minaccioso; la speranza che alcuni tra coloro che circondano il bambino possano stringersi attorno a lui quando necessario e la speranza che lui sia profondamente capace di far fronte a questa vita, 'intrisa di fascino e mistero, emozioni, potenza e meraviglia‘ .

Bibliografia

Bowlby J., Una base sicura: applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento, Cortina, Milano, 1989
Cavalli G., I grandi nel mondo dei piccoli. La relazione tra educatori e genitori nei servizi per la prima infanzia, La Scuola, Brescia, 2011
Cyrulnik B., I brutti anatroccoli, Frassinelli, Milano, 2002
Knowles M., Quando l'adulto impara. Pedagogia e andragogia, Franco Angeli, Milano, 2010
Laberthonnière L., Teoria dell'educazione, La Scuola, Brescia, 1958
Santrock J.W., Psicologia dello sviluppo, McGraw-Hill, Milano, 2008
Schon D., Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, Bari, 1993
Spitz R., Il primo anno di vita del bambino: genesi delle prime relazioni oggettuali, Giunti, Firenze, 2009
Zonca P., Genitori fragili in una scuola forte, in Mariani A.M., Fragilità, Unicopli, Milano, 2009

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