martedì 16 luglio 2013

Il valore della contaminazione nel dirimere le complessità, una risorsa fondamentale per l'Istituzione


Non avrei mai pensato di andarmene dal nido, avevo iniziato a lavorarci a settembre del 1975, col il primo scaglione di "assistenti asilo nido", assunte come ci chiamavamo allora, per aprire i suoi primi 13 “asili nido” che nascevano grazie alla legge 1044. Nel 2001, dopo ventisei anni ricchi di confronti vissuti in tre nidi di zone assai diverse del territorio cittadino, una volta espletato il concorso per diventare coordinatore educativo della scuola dell'infanzia , decisi di rimettermi alla prova e di fare il salto. Non conoscevo il contesto in cui sarei approdata, le sue strutture, neppure quella in cui scelsi di andare a lavorare; l'unica costante per me era il bambino, solo un po' più grande.
Finalmente questo ruolo, tra mille resistenze, era nato anche a Roma, riconosciuto e connotato, seppure in maniera debole. Sono passati ben dodici anni da allora e l'Istituzione sta ancora ragionando su quali siano le molteplici implicazioni e competenze richieste dalla prassi a questa figura, mentre la stessa preme incurante e ci obbliga a dare risposte esaurienti, costringendoci spesso a cercarle autonomamente, con dispendio di tempi, risorse, energie personali. Come per esempio sulla gestione dei gruppi, che l'Istituzione dà come competenza assolutamente scontata nel ruolo. Come sempre nel lavoro femminile e in tutte le attività legate all'educativo purtroppo, continuiamo a soggiacere a sottovalutazioni, con l'amara consapevolezza che a conoscere le complessità, sono per lo più gli addetti ai lavori.

Spesso il desiderio di un'identità più chiara, supportata con formazioni adeguate, sollecitato dall'impellenza della gestione e dalla delicatezza della fascia d'età della quale ci prendiamo cura , seppure frustrato ci rafforza, con quel radicamento a tinte reattive, confermandoci nella consapevolezza di dover rispondere adeguatamente ai bisogni, nonostante tutto!, seppure senza adeguato riconoscimento e supporto. Una valutazione di tipo etico è inscindibile dalla professione, rafforza il desiderio struggente di tutela della vita nuova, diventando imperativo categorico. La qualità dei servizi per l'infanzia non può essere lasciata al caso, alle motivazioni personali, disponibilità di tempo o buona volontà di ciascuna di noi. Indicatori di qualità condivisi sono stati enunciati da tempo, applicati, nelle Regioni più evolute. Sono sempre stati e sono un forte riferimento. Ottimi modelli nazionali vengono studiati anche in altri paesi. Nelle prassi, allibite e stremate, talvolta ci ritroviamo a portarci casa il lavoro di riflessione e "ricerca", nel quale cerchiamo affamate le soluzioni. Non si può prescindere da una formazione organica , pertinente e qualitativa, specifica, permanente.
Avevo fatto anche la prova scritta del concorso per coordinatore educativo del nido ed era andata bene, ma quando seppi di avere superato il concorso per la Scuola dell'Infanzia, dove erano state ultimate prima, tutte le prove previste, decisi di buttarmi a capofitto in quella nuova avventura e, proprio per non avere ripensamenti, decisi di non andare neppure a sostenere l'orale del concorso del nido. I due ruoli allora, erano ancora separati.
Non avrei mai chiesto di tornare nell' ultimo nido dove avevo lavorato, in quella nuova posizione diversa e ratificata, assolutamente convinta che ciò avrebbe potuto inficiare le dinamiche interne del mio gruppo. Ci dovevamo separare, seppure questo mi procurasse un dolore intenso. Ancora troppo coinvolta emotivamente, pensavo che qualcuno che fosse arrivato dall'esterno avrebbe potuto favorire, forse meglio di me, nuove contaminazioni e riflessioni, ne conoscevo il valore, me lo auspicavo. Avevo fatto più volte la coordinatrice al nido, quando l'incarico era solo di tipo elettivo e temporaneo, era indispensabile che sciogliessi i miei nodi, allontanandomi. Per giunta il gruppo al nido, tendeva a chiedermi sempre le stesse cose, quelle legate alle mie competenze riconosciute dal gruppo, legate a mie connotazioni personali, forse così avrebbe continuato a fare se fossi tornata. Quale sarebbe stato allora il cambiamento?!, la possibilità di migliorarci?!, la mia e la loro crescita?! L'idea di diversità come ricchezza a cui avevo aderito da tempo, proprio per l'utilità rilevata nelle prassi, rischiava nella staticità a cui tendono i ruoli, di perdere la vividezza dello smalto, di restare ingabbiata proprio nell'autocelebrazione. Anche le colleghe prima o poi avrebbero capito, che non era per fuggire da loro che mi stavo allontanando, ci eravamo confrontate per tanto tempo senza infingimenti, mi conoscevano bene. Tra i molteplici interrogativi nei quali mi andavo muovendo, a spingermi definitivamente forse fu soprattutto la visione del contesto nuovo in cui approdai, il fatto che il nuovo coincidesse coi bisogni del mio immaginario in quel delicato momento della mia vita.
Quella grande scuola dell'Infanzia mi appariva come assolutamente più bisognosa di aiuto e di cura di qualsiasi nido che avessi mai conosciuto, a cominciare dall'analisi della struttura edilizia non accogliente e poco rispettosa dei bambini e delle maestre che eppure accoglieva per tante ore al giorno. I luoghi cadevano letteralmente a pezzi, pieni di muffe, senza arredi adeguati se osservati dall'ottica di una pedagogia che era andata avanti sulla fascia d'età 3 a 6 anni. Sembrava di stare a molto prima degli anni '70, sapevo di poter lavorare sul problema. Le maestre sembravano essere davvero sole, chiuse per gran parte del giorno nelle loro brutte classi, con venticinque bambine e bambine, molti dei quali, quelli di gennaio, dopotutto erano ancora in età da nido. La loro solitudine e fatica mi sgomentavano; venendo dal nido non riuscivo a concepire il lavoro educativo se non in un confronto collettivo. C'erano solo banchi e sedie, vecchi armadi, niente "angoli" e "centri d'interesse", niente "laboratori", niente spazi motori e creativi pensati con attenzione, eppure quegli spazi in quanto a dimensioni erano davvero invidiabili. Un "bene comune" per 225 bambine e bambini, da riqualificare assolutamente, al più presto! Decisi che avrei passato molto tempo a cercare di farlo, mi stimolava.
Rafforzava la mia decisione anche, la curiosità di capire a cosa fosse servito il mio lavoro con la fasci d'età 0-3 anni, per renderla capace di affrontare serenamente il percorso successivo; come avrebbero potuto essere sereni i bambini se poi all'improvviso venivano tolti loro tutti gli spazi che avevamo pensato e costruito, con tanto tempo di riflessione, al nido? Spazi che oramai ritenevamo indispensabili sia per il nido che per la scuola dell'infanzia e che nelle Regioni del Nord, come molte di noi avevano visto, visitando le strutture per l'infanzia e pagandosi di tasca propria quelle formazioni, esistevano da tempo. Ero fermamente convinta che per costruire concretamente la continuità fosse necessario che qualcuno si rendesse disponibile a fare il salto. Nessuno ci sarebbe venute a cercare altrimenti al nido! Anche il mio corpo, era pronto al passaggio, soprattutto dopo un tumore al seno superato. Non contava solo l'idea affascinante di potermi rinnovare, di rimettermi in gioco, di dover ricominciare a studiare, per affrontare adeguatamente, con metodo, un sistema nuovo, ne' la voglia di scoprire i processi messi in campo dall'intelligenza nella nuova fascia d'età, che presentava con evidenza e vitalità ulteriori bisogni; c'era in me già prima del cancro ad aleggiare una voglia di cambiamento e un fastidio convincimento che mi faceva percepire nell'immaginario come oramai inadeguata per il ruolo di educatrice .
Mi sentivo vecchia nel corpo, inadatta ad accogliere soprattutto i piccoli sotto l'anno d'età, mi muovevo più lenta, avevo vari acciacchi alla schiena e poi, non meno importante, ero alla ricerca di nuova maraviglia . Sapevo che nel passaggio ero chiamata ad assolvere un ruolo con sfumature diverse di maternità sociale , ma mi prefiguravo soddisfazione da questa nuova possibilità. Avevo teorizzato la maternità sociale fin dagli anni '90, quando avevo presentato un progetto per chiedere all'Istituzione una formazione adeguata sulle dinamiche di gruppo, tema che era stato fondamentale per me anche come coordinatrice con carica solo di tipo elettivo, al nido. Dai miei percorsi di studio e per i miei interessi personali mi era capitato di innamorarmi di Bion e di Neri già da allora, perché mi avevano offerto importanti strumenti di lettura. Le culture diverse, dover affrontare le molteplici rappresentazioni sociali delle persone, con le quali entriamo in contatto ogni giorno, ci spingono a ricercare supporto da tutte le scienze sociali per capire, per essere meno condizionate da stupidi pregiudizi.
Contaminazioni del pensiero mi avevano sempre arricchita, anzi le avevo proprio cercate, certamente mi avrebbe giovato anche quella nuova possibilità che mi prefiguravo di potermi lasciar contaminare dalla scuola dell'nfanzia. Così, finalmente, sarei uscita dall'isola e il mio sguardo si sarebbe ampliato. Mi capitava di ripensare con gratitudine ad altre contaminazioni ricercate nel tempo, fin dal '75, dentro e fuori del mio orario di lavoro e del mio sistema : con i tecnici delle ASL e dei Municipi, col terzo settore, con le colleghe e i colleghi dei nidi di altre Regioni, con le associazioni, con le forze politiche e sindacali. Gli spunti ricevuti ogni volta, plasmati dalle prassi personali, avevano contribuito a farmi uscire da una visione troppo angusta, arricchendomi di pezzetti di riflessioni, che mi venivano proposte da altri ruoli, competenze, professionalità diverse dalla mie, comunque centrate sulla persona. Rielaborarli, nelle sperimentazioni concrete del collettivo di lavoro, mi avevano resa più capace di autocritica ed empatia. Quell'idea di fare il salto lasciandomi contaminare ancora una volta mi stimolava fortemente.
brava educatrice , avrebbe potuto limitarmi nel sentire, che invece ha bisogno di ricerca continua, discontinuità in certi momenti, motivazioni nuove, proprio per ri-vitalizzarsi ed evolvere. L'unica costante che non intendevo modificare in nessun modo era il bambino, seppure di una diversa fascia d'età e con bisogni nuovi. Volevo provare il piacere di scoprirli, avevo ancora tanto tempo fino alla pensione, oggi anche di più.... La competenza di mestiere acquisita non sarebbe diventata la mia gabbia! Bisogno di certezze, di semplificazione, fatica e necessità di risparmio di energie in un corpo che invecchia, avevo visto che a volte possono giocare brutti scherzi, in qualche collega caduta drammaticamente proprio sulla fatica di mestiere.
Mi sentivo come su un'isola e la sensazione che una volta mi sembrava essere piacevole ormai mi disturbava; per quanto ne conoscessi e ne gradissi gran parte dei i luoghi, avevo una gran voglia di prendere il largo, di approdare in baie con suoni e profumi nuovi, di incontrare altre persone e altre diversità, per ri-vitalizzarmi, ri-emozionarmi, per ri-tovare l'antica spinta che era stata molto forte, piena di motivazioni personali e favorita da un periodo storico che purtroppo forse ci stava sfuggendo di mano. Dopo tanto impegno, avevo solo vent'anni nel'75, tanti sogni, nella mano non volevo ritrovarmi solo un pugno di mosche!
Vedevo, con sempre maggiore lucidità e fastidio, il fatto che all'interno del gruppo ognuna di noi tendesse a riprodurre quegli stessi ruoli, come se fossimo spinte a questo da una cinica mente del gruppo , che sovente cercava di riportarci ad antichi limiti e timori, anziché risolverli. Proprio su questo talvolta avevo visto crollare rapporti di forza positivi e mi deprimeva profondamente. In quel momento ero sul filone delle rappresentazioni sociali della scuola francese , di Moscovici, mi chiedevo quando avremmo mai potuto trovare insieme, come gruppo , quella rappresentazione condivisa di bambino, assolutamente rispettato, alla quale da sempre aspiravo. Ero un po' depressa, tendevo a darmi risposte negative, forse troppo esigente, in fondo il nostro era un ottimo gruppo, una comunità di pratica che non solo sapeva avvalersi della diversità come risorsa , ma attenta all' accoglienza e alla cura , ai feedback dei bambini , ai loro bisogni , capace d' empatia con le famiglie.
Decisi di affrontare il mare proprio in concomitanza col tumore, che nell'immaginario, una volta superato, diventa la possibilità di un'altra vita ricevuta in dono. Il mio corpo non solo era invecchiato nel tempo, ma si era anche trasformato e proprio in un suo luogo troppo legato all' immaginario della cura , dell' accoglienza , dell' accudimento : il seno. Era davvero tempo di andare! Negli ultimi anni di nido avevo seguito il seminario del Prof. M. Ammanniti sull' attaccamento , mi sentivo come un po' mutilata, certo come educatrice non avrei dovuto allattare il bambino, certamente non ero madre nel ruolo, ma è comunque intorno al seno che si costruisce l'attaccamento, anche quando sul seno il bambino ci poggia solo il capo, quando ti si addormenta tra le braccia, quando su quella parte del corpo ci poggia la guancia e ti guarda, ti sorride, cerca di parlarti o ti parla all'improvviso riempiendoti il cuore, mentre ti guarda negli occhi completamente indifeso. L'idea di dover fare attenzione a non prendere botte su quella parte del corpo mi faceva chiedere se questo mi avrebbe ulteriormente condizionata e irrigidita proprio nella relazione coi bambini. Quel lutto centrato sul seno sentivo che avrebbe potuto cambiarmi profondamente. Chissà come sarebbe andata se fossi rimasta! Insomma, non mi ero rotta dei bambini, mi sentivo solo un po' rotta nel corpo, sicuramente inadatta ai piccolissimi, volevo trovare e provare nuove suggestioni per la mente, per il corpo e il cuore, costruirmi un immaginario meno doloroso. Il nostro è compito delicato, non si può lavorare bene senza l'analisi delle nostre implicazioni, senza autocritica, senza motivazioni e slanci, immagini mentali positive e capacità di meraviglia, soprattutto certi timori non ci giovano.
Non mi sembrò vero che nella scuola che andai a coordinare dovesse nascere una sezione "Ponte", era come poter portare con me i temi che mi erano più cari, sui quali ad una prima occhiata superficiale, la scuola dell'infanzia era carente, poco avvezza, avendo avuto come interesse e aspirazione precipua quello della continuità con la scuola elementare . Mi sembrava che, anzi, gli mancasse una sua identità originale, più rispondente alle necessità della fascia d'età accolta, escluse alcune avanguardie legate all'MCE o al CEMEA, che mi era capitato sporadicamente di incontrare nelle rarissime formazioni cercate già quando lavoravo al nido. Un'identità nuova da ricercare insieme a nuove colleghe premeva e mi motivava, ero certa che avremmo potuto sanare la nostra antica spaccatura e che la contaminazione ci avrebbe potuto far superare quella rappresentazione troppo asettica di bambino che mi sembrava di percepire. Benessere psicofisico ed emozioni non possono essere avulsi dai prerequisiti del pensiero, avevo imparato a vedere la persona come un tutto organico, proprio osservando bambini in tanti anni al nido. Quella riflessione sul corpo e sulle emozioni evidenziava pecche e rafforzava la mia motivazione al passaggio. Per quell' esagerato interesse alla continuità col dopo e poco a quello con il prima mi sentivo di poter fare qualcosa, in grado di poter contribuire a migliorarci reciprocamente nella contaminazione, a vantaggio delle bambine e bambini che avremmo accolto insieme da lì in poi, seppure nei nostri ruoli ormai diversi. In fondo la scuola dell'infanzia era piena di bimbette e bimbetti che compivano i tre anni a gennaio e che nulla di diverso avevano dalle mie bambine e bambini grandi del nido, cosa servisse ai 4 e 5 anni lo avrei compreso col tempo, osservando, studiando, confrontandomi con quelle mie nuove compagne di viaggio .
Con la sezione Ponte arrivarono a scuola anche due educatrici, non ero più da sola, accidenti! Finalmente stavamo iniziando a mescolarci, non mi pareva vero! Il Ponte in quel momento nasceva solo come progetto sperimentale , limitato a poche scuole romane, una trentina, ma finita la sperimentazione arrivarono, anche in altre scuole le sezioni Primavera , nonostante qualcuno nel Sindacato e anche all'interno del Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, del quale facevo parte dall'81, all'inizio non avessero visto di buon occhio questo tipo di servizi. A Roma, per me, laddove c'è stata davvero una capacità di giocare al meglio la contaminazione, sono state invece una immensa risorsa per l'Istituzione. Comunque, la necessità di soddisfare la domanda premeva e chiedeva soluzioni, finalmente ci potevamo guardare da vicino nelle nostre pratiche , attivare confronti sui metodi. I bambini avrebbero potuto permanere nelle stesse strutture, tra persone conosciute e con le quali avevano costruito legami affettivi importanti. Restare negli stessi spazi mentre evolve l'approccio conoscitivo è qualcosa che riempie il cuore a vedersi, da qualunque posizione e ruolo si stia ad osservare l'esperienza all'interno del microsistema. La serenità delle bambine e dei bambini sembrava rassicurare anche i genitori, così come il maggior rispetto per i tempi della evoluzione dei figli, che meglio potevano strutturarsi proprio nella continuità possibile, concretamente giocata nella nuova prassi nata. Il "Ponte"servì a spezzare l'incomunicabilità tra due settori dell'Istituzione, davvero un'idea felice!
Ad un certo punto diventammo funzionari dei servizi educativi e scolastici della fascia 0-6 anni e fummo mischiate. Questa nuova denominazione mal celava l'intento di evidenziare soprattutto gli aspetti amministrativi del nostro ruolo, ma la necessità che ancora una volta pressava l'Istituzione e la spingeva ad aumentarci i carichi di lavoro, alcune colleghe andavano in pensione scoprendo ambiti, autorizzava ancora una volta la contaminazione e finalmente ci faceva mischiare. Quanti anni ci erano voluti!, quante lotte e tensioni emotive, quanti adattamenti successivi, sui quali far evolvere il pensiero. Adesso potevamo costruire davvero quel modello che avevamo sognato, più rispondente ai bisogni veri dei bambini, della vita nuova che nasce e che necessita di visioni organiche, di percorsi lineari, senza fratture.
Credo che sia proprio nell'amore e nel rispetto per la vita il senso più profondo della dialettica, al di fuori si rischia di giustificare dolore, negazioni, espropriazioni, lutti . L'a sè stante mi terrorizza, la contaminazione invece credo possa ricostruire il circuito virtuoso che libera vitalità, discontinuità produttiva, emozioni, sentimenti, meraviglie, senza le quali non può proprio esistere la vita stessa. Noi donne siamo chiamate a tutelarla proprio per una connotazione di genere, quella nascosta tra le pieghe del nostro corpo, individuale e collettivo, ma anche gli uomini finalmente sembrano essere chiamati a farlo, spinti anche in questo caso dalla prassi, che oggi presenta penuria di lavoro. Cominciano ad arrivare sempre più spesso nei nidi e nelle scuole dell'infanzia gli educatori e i maestri e alle bambine e ai bambini si riempiono gli occhi di gioia a vederli sopraggiungere. La discontinuità mi sembra positiva.
Di contaminazione in contaminazione spero si possa arrivare anche ad un ruolo unico per la fascia d'età 0-6 , quello verso il quale la prassi ci spinge, sempre con più chiarezza, in entrambi i servizi se si tiene conto dei bisogni dei bambini. Peraltro la carenza di personale sulle sostituzioni delle maestre , spesso è sanata con l'utilizzo delle graduatorie delle supplenze delle educatrici e i bambini appaiono sereni per la loro capacità di gestire momenti di gioco, convivialità, scambio relazionale. Ci stimolano e ci meravigliano sempre i bambini, che ci indicano con la gioia degli occhi le nuove prassi possibili, se siamo capaci di osservarli con attenzione. W le contaminazioni e il pensiero liberato dal pregiudizio, buon lavoro a tutte/i!
Tiziana Bonfili

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