lunedì 9 settembre 2013

Il modello di scuola primaria scozzese: uno spunto da esportare contro la dispersione scolastica?


di Rita Ferrarese

Ho avuto l'opportunità di visitare una scuola primaria in Scozia , nella zona di Glasgow e non avrei mai pensato di uscire da li con la sensazione di aver trovato una chiave di volta.
E' stato come vedere per la prima volta il bambino e le sue capacità da un punto di vista altro dove l'interesse dell'educazione non si focalizzava sull'acquisizione di contenuti del singolo , e sulle competenze ad essi connesse bensì sulla forza del lavoro d'equipe,del gruppo come “motore di processi conoscitivi”.
Mi sembra interessante evidenziare i punti di differenzazione dal nostro modello tradizionale italiano della lezione frontale. Uso il termine “tradizionale” perché sono consapevole che anche in Italia si adottano sistemi sperimentali di lezione, ma essi sono spesso legati a progetti circoscritti, ad esperienze pilota o a peculiari strategie di lavoro di alcuni insegnanti o plessi, piuttosto che essere una linea metodologica condivisa a livello nazionale.

Partiamo dall'organizzazione del lavoro in classe . la scuola primaria va da 5 a 11 anni. Le classi sono aperte, da 5 a 7 anni, da 8 a 11 anni, non è l'età del bambino a determinarne la collocazione e hanno circa i nostri stessi numeri di studenti per classe, 24/25.
La lezione non è frontale, non è uguale per tutti, non viene trattata allo stesso modo da tutti.
Le classi non sono divise dal fattore età, ma per competenze e livelli di apprendimento.
Una frase del genere non supportata da una debita delucidazione sono convinta che in un'insegnante italiana susciterebbe subito una reazione di disapprovazione accompagnata da una sensazione di discriminazione nei confronti dei bambini da parte delle colleghe straniere.
In realtà si tratta di leggere la distinzione per competenze e livelli sotto un punto di vista completamente diverso che parte dalla considerazione per cui ogni bambino ha delle caratteristiche personali . Tali caratteristiche lo portano ad essere più portato per una materia piuttosto che un'altra, a possedere delle potenzialità innate, ad avere i propri tempi di apprendimento, ma anche a dover fare i conti con delle difficoltà personali. Tutto ciò interagisce e condiziona i suoi risultati scolastici , le sue possibilità di apprendimento, quindi la sua “prestazione” di fronte ad una consegna da affrontare singolarmente.
L'idea pedagogico-didattica dal modello scozzese vede più discriminante o meglio inefficiente dare consegne individuali, le cui risposte si differenziano in base alle possibilità e risorse del singolo.
Il suo punto di partenza è quello di osservare il bambino/a , rivelarne potenzialità e difficoltà e inserirlo in un gruppo di pari con un livello simile di apprendimento. Il livello simile di apprendimento orienta l'insegnante rispetto la sua proposta e il grado di difficoltà da attribuire ai contenuti e diminuisce il “ fattore di rischio” della frustrazione per l'inadeguatezza da prestazione. Al gruppo poi spetta il resto , ovvero i contenuti didattici assegnati devono essere svolti da tutti gli studenti del gruppo, ma affrontati assieme. Il gruppo , come in ogni vera equipe che si rispetti, stabilisce i ruoli dei componente e i compiti corrispettivi per raggiungere l'obiettivo.
I ruoli non sono fissi, infatti è cura dell'insegnante regolamentarne lo turnazione, così come non sono fissi i gruppi.
E' l'insegnante, con le sue osservazioni in itinere suoi singoli studenti a percepirne i cambiamenti e i “tempi di apprendimento” rispetto alle diverse materie e a stabilirne il livello. Per questo, sempre nell'ottica pedagogico-didattica di cui parlavo prima, i componenti dei gruppi vengono spostati tra un gruppo di livello e l'altro. Il livello non può essere retroattivo, gli studenti non possono mai tornare indietro perché se vengono collocati in un gruppo è perché quel grado di competenze è già stato raggiunto, possono solo migliorare.
I cambiamenti all'interno dei gruppo dipendono dalle conquiste individuali, quindi non si verificano stravolgimenti “ dell'equipe di lavoro di massa”. I docenti spostano uno o due componenti per volta, creando dinamicità e possibilità di relazioni sempre diverse e soprattutto l'occasione di rimettersi in gioco e di arricchirsi nel contatto con i compagni di differenti caratteristiche e potenzialità.
Ho potuto assistere ad alcuni momenti in cui è scattata la fase” svolgimento della consegna” e mi si è presentata davanti un' agorà di confronti, considerazioni e strategie che si consumavano e si articolavano all'interno dei nuclei tra gli studenti.
Continue concertazioni conciliate anche dal setting, perché all'interno delle classi i banchi sono sempre disposti in agglomerati di 4/6/8 elementi , in base al numero dei componenti per gruppo.
Viene da chiedersi : e in tutto questo l'insegnante come si colloca?
L'insegnante lavora in specifico su un gruppo alla volta , ci sono circa 4 gruppi per classe. Con esso si ferma 3 settimane poi cambia gruppo. Nel frattempo i gruppi non seguiti direttamente e presenti all'interno della classe, contattano l'insegnante ogni qualvolta abbiano un quesito da porre o siano arrivati all'obbiettivo del compito assegnato.
L'insegnante, perciò, diventa colei o colui la/il quale funge da facilitatore di imput per lo svolgimento, da sollecitatore di quesiti, da fonte di risposte immediate alle questioni che lo stesso gruppo solleva in merito al contenuto da affrontare.
Una volta raggiunto l'obiettivo, l'insegnante lo valuta e assegna i contenuti didattici relativi allo step successivo o meglio riferisce al gruppo di poter procedere con lo step successivo.
Se la disposizione dei banchi, infatti, concilia o quasi determina il lavorare per gruppi, il resto dell'organizzazione dello spazio e dei materiali nelle classi permette ai gruppi e ai singoli di organizzare il proprio lavoro in autonomia e persino di scegliere il materiale didattico per lo step successivo tra quelli riposti negli appositi contenitori.
Tutte le sezioni sono gestite e gestibili dagli studenti. Ogni angolo ha un “foglio di istruzioni per l'uso” che rimane appeso tutto l'anno e a cui corrisponde uno schedario relativo ad una disciplina. Ogni schedario ha dei materiali divisi per livelli di difficoltà ed ogni livello ha diverse proposte di svolgimento che i gruppi possono scegliere.
Per la stessa proposta didattica , inoltre, le insegnanti mettono a disposizione vari supporti di lavoro. Il contenuto didattico potrebbe essere trattato utilizzando: foglio e penna ,ma anche una lavagna magnetica, un vassoio di alluminio in cui gli studenti versano della schiuma da barba e ci scrivono sopra, o ancora gli Ipad messi a disposizione dalla scuola.
Le discipline sono scelte dalle insegnati e in base a queste vengono predisposti gli angoli tematici con relativi materiali didattici divisi ,come accennavo prima, per livelli e i supporti da utilizzare.
E' un po' come se tutto il programma ministeriale di un anno fosse già presente fisicamente nello spazio/classe e fosse racchiuso in cassetti visibili; alla bambina e al bambino resta il compito di farli propri: aprirli in compagnia , curiosarci dentro, utilizzarne i contenuti, poi riporli in ordine, questa volta però nella propria testa.
Tornando alla mia frase di esordio , ovvero la sensazione di aver trovato una chiave di volta, provata in corriera subito dopo aver lasciato la scuola, penso mi sia derivata dalla carrellata di spunti che ho cercato di riassumente e descrivere in queste poche righe. Spunti pratici, strategie note e forse anche elementari che però combinate assieme con questa modalità mi hanno fatto vedere delle prospettive risolutive o almeno di contenimento a certe problematiche che emergono in modo sempre più esponenziali nelle nostre scuole primarie italiane, ma anche in quelle secondarie e a volte si riflettono nei nostri contesti lavorativi di tutti giorni:
•  Il tema del saper lavorare in gruppo, del poterlo sperimentare e prenderne dimestichezza nella quotidianità.
•  Il tema della “normalizzazione delle differenze” , ovvero che ognuno ha potenzialità , ma anche limiti e ciò è un fattore intrinseco alla natura umana, basta metterli in rete e trovare delle complementarietà nelle altre persone per poter raggiungere più risultati possibili.
•  Il tema dell'autonomia di movimento e di scelta che attraverso il “farne esperienza” e il “selezionare proposte e supporti” rende gli apprendimenti diretti e personali, valorizza l'autostima del bambino tramite il processo di “ messa in gioco e riuscita”, tutto però con in un contesto protetto, dove il fattore di rischio fallimento è ridotto ai minimi termini perché ogni l'esperienza non è mai “in solitario”.
Tre macrotemi diversi, ma complementari che potrebbero agire a mio avviso contemporaneamente su altrettante tipologie di studenti o di processi:
Sui ragazzi che ricercano continue attenzione da parte degli insegnanti, i quali spesso utilizzano modalità non certo consone alla buona condotta; una disposizione di lavoro di questo tipo non potrebbe certo evitare le tendenze dei singoli a tali acting out, ma ne diminuirebbe la platealità delle manifestazioni, riducendone il “potere” e l'effetto rinforzo;
Sugli studenti che faticano a stare “sul banco” , perché le proposte sono molto varie, richiedono partecipazione costante e attiva e sono gli stessi compagni a richiedertela , con tutto ciò, che a livello relazionale e di immagine di sé per ogni studente, comporta.
Sulle bambine e bambini “trasparenti” , quelli che fanno fatica a mettersi o a stare in relazione con i pari, le vittime spesso designate dei “bulli” perché particolarmente interessati e capaci nelle lezioni o concilianti nei confronti dei docenti, perché nel lavoro di gruppo continuo si giocherebbero la parte dei leader o agevolatori significativi di processo e di risultati.
Sui processi che portano alla dispersione scolastica, per tutte le motivazioni appena citato e perché in un sistema di questo tipo veramente il docente potrebbe avere “voce in capitolo” sul livello di apprendimento del singolo, potrebbe tutelarne il percorso, decidere il grado di difficoltà da porre, ossia predisporre “il paletto alla giusta distanza” e consentire allo studente di “ acquisire la propria velocità ottimale” per non finire nel dirupo della demotivazione , fonte primaria dell'abbandono scolastico.

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