martedì 12 novembre 2013

Scuole dell'infanzia e insegnamento della religione cattolica. Una riflessione sul senso.

Nell'articolo pubblicato ieri abbiamo analizzato la questione normativa relativa all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole dell’infanzia. Oggi intendiamo invece approfondire alcuni aspetti più legati al senso e al come questa cosa può essere portata avanti. 


Per farlo vi riproponiamo una elaborazione di alcuni materiali sull'argomento: l’articolo “I bambini sono dentro le nuvole, poi...”, redatto da Paola Cagliari, Claudia Giudici, Deanna Margini e pubblicato sulla rivista Bambini (http://www.edizionijunior.com/riviste/articolo.asp?IDart=711 ); l’intervento intitolato “La dimensione religiosa e l’educazione”, utilizzato in un percorso di formazione per educatori e insegnanti neo assunti a Reggio Emilia.

Partiamo da uno spunto rilevante: l’innovazione del concordato del 1985 introduce una distinzione che non c’era nella legislazione precedente: tra religione, in questo caso cattolica, e religiosità o sentimento religioso o dimensione spirituale. La religione cattolica, (o altre che firmassero identica Intesa) che diventa materia di insegnamento dentro alle ore specifiche e separate di insegnamento; la religiosità, distinta dalla religione, presente all'interno degli orientamenti e dei programmi come parte della costruzione del sé e della relazione con l’altro.
Definire religione e religiosità è compito non di immediata esecuzione. Possiamo provare a indicare la religione come il complesso delle narrazioni mitiche, delle norme etiche e salvifiche e dei comportamenti connessi al culto che esprimono, nel corso della storia, la relazione delle varie società umane con il mondo divino. La religiosità, invece, la intendiamo come il senso religioso inteso soggettivamente e al di là di ogni riferimento a religioni storiche istituzionali.

Possiamo convenire allora, e questa è una idea utile per affrontare l’aspetto educativo della dimensione religiosa, sulla idea che la religiosità, il sentimento religioso, la dimensione spirituale vengono prima della religione, appartengono a tutti gli individui come apertura verso il trascendente, verso ciò che trascende il nostro tempo e il nostro spazio che sono ‘finiti’, limitati, come ricerca di significato e di senso della propria vita. Il sentimento religioso presente in tutti gli uomini ha prodotto nelle diverse culture le religioni storiche.

Il sentimento religioso, la ricerca spirituale sono naturalmente presenti nel bambino fin dalla sua nascita. Questo viene confermato dalla presenza “spontanea” nei bambini di domande che afferiscono a questa dimensione: spontanea nel senso di puro, autogenerato, privo di contaminazioni culturali dovute all’esperienza o all’insegnamento intenzionale. Sottolineiamo anche, in parallelo, l’interesse alla ricerca a cui i bambini si dimostrano fortemente disponibili, e che le argomentazioni e domande formulate dai bambini trovano subito negli altri bambini partecipazione, coinvolgimento, sentire comune, adesione, contributo di pensiero, voglia di confronto e di discussione; i bambini non attendono il permesso o l’input degli adulti per attivare queste ricerche soggettive ed intersoggettive e che è quindi in questo senso che usiamo il termine spontaneo. Nella loro ricerca spirituale i bambini incontrano, abbracciano, fanno proprie, più o meno provvisoriamente, risposte che attingono dalla/dalle religione/i e dalle testimonianze di fede che hanno più vicino. A partire da questa analisi pensiamo siano maggiormente apprezzabili le esperienze che non relegano “l’ora di religione” ad un momento specifico ritagliato ad hoc nel quadro orario quotidiano della scuola, ma che l’attenzione a questo tema sia, pur nella sua specificità e particolarità, trasversale all’agire pedagogico di ogni giorno.

L’esperienza delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia procedono in questa direzione. Sono previsti spazi di ascolto verso il sentimento religioso dei bambini, attraverso la disponibilità a essere cassa di risonanza delle loro ricerche di senso e di significato e delle loro esperienze. Sono quindi accolti tutti i segni delle religioni che i bambini vogliono portare dentro come segno di una esperienza, testimonianza di un vissuto carico di significati emotivi, affettivi, relazionali, che sono relativi a quel bambino e non assoluti ed entrano in dialogo con quelli degli altri (calendario delle feste del centro famiglie, invito a portare elementi di tradizioni delle famiglie da condividere a scuola, ecc.)

Non c’è argomento che i bambini non possano discutere ed esplorare se ne hanno interesse. La conversazione è il luogo e la strategia attraverso cui i bambini discutono, si confrontano, cercano idee e conferme dagli altri, offrono il loro contributo al gruppo. È quindi una situazione progettuale, che consente la costruzione condivisa di saperi nuovi e l’individuazione di tematiche rilevanti per i bambini.

Per assumere questo valore per i bambini e per gli adulti la conversazione, non solo, ma soprattutto quella su questioni trascendenti, non può essere intesa come strategia attraverso cui l'adulto verifica la correttezza delle idee e delle conoscenze dei bambini “interrogandoli”, ma come luogo di apprendimento dove le domande sono “vere” domande, dove l’adulto ha un reale interesse a incontrare le idee dei bambini, dove i bambini legittimati ad argomentare le proprie idee nella dimensione dello scambio possono evolvere le loro ipotesi e conoscenze sviluppando nuove teorie e saperi. In questo senso non è tanto importante l’esattezza o la completezza del sapere che ognuno esprime e costruisce, ma il processo attraverso cui viene espresso e costruito e la consapevolezza del processo stesso. È importante che sia percepibile a tutti i bambini il rispetto per la ricerca di significato che ognuno di loro sta facendo insieme agli altri.

Questo richiede soprattutto agli adulti, ma anche ai bambini, un atteggiamento di accoglienza intesa, “non come sentimento materno ma come figura dell’intelligenza”[1] come disponibilità a tenere aperta la dimensione della domanda, della ricerca, della curiosità, del rispetto come atteggiamenti verso il conoscere e verso gli altri. Questa disponibilità chiede agli adulti di avere fiducia nei bambini, nella loro capacità di essere responsabili del proprio agire e nella loro autonomia di pensiero e di scelta. Nella consapevolezza che ogni apprendimento è sempre provvisorio e parziale.

L’interessante analisi che ci viene da Reggio Emilia sostiene che una scuola laica è un luogo che non si affida a verità certe, né religiose, né scientifiche, ma si affida alla ricerca, allo scambio, al dialogo, alla elaborazione soggettiva ed intersoggettiva perché ognuno formuli le sue teorie, idee, faccia le sue scelte. Scuola laica dunque nel senso che tiene aperta la disponibilità alla domanda e alla ricerca di ognuno con gli altri. Scuola laica più orientata a costruire menti capaci di interrogarsi e di dialogare, che non menti piene di informazioni vere e certe. Menti dubitative cioè capaci di porsi domande, ma non dubbiose cioè incapaci di prendere una posizione. Come adulti non ci si può solo sentire “registratori neutri” di ciò che i bambini discutono o portano. Rispetto non significa indifferenza. I bambini chiedono agli adulti di dichiararsi. E' importante che gli adulti quindi riflettano sul come lo fanno, su quanta parzialità agisce nel dichiarare le opinioni, credenze, vissuti, per fare spazio a opinioni, credenze, vissuti dei bambini.




[1] Umberto Galimberti, Idee, il catalogo è questo, Mondadori

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