mercoledì 12 marzo 2014

A proposito di...
“Chi educa chi?” e “Cure in gioco”

Antonella Panchetti , tutor Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Firenze e insegnante di scuola dell'infanzia presso I.C. di Vinci, Firenze.

Gli articoli ( Chi educa chi? e Cure in gioco”) usciti su “Bambini” il mese di gennaio sembrano trattare di continuum tra i più evidenti, se si guarda allo specifico ruolo dell'insegnante della scuola dell'infanzia che dovrebbe:
argomenti lontani tra loro. Il primo perché fornisce una cornice teorica sulla responsabilità educativa, il secondo un momento di vita scolastica che riguarda un luogo, il bagno, molto poco valorizzato nella scuola dell'infanzia. Rappresentano però un

Rispettare l'evoluzione della personalità del bambino nei suoi vari aspetti psicofisici;
riconoscere come da tre a sei anni il gioco costituisca la sua esperienza fondamentale;
ricercare le modalità che consentono apprendimenti attivi, in situazione reali.


Chi educa chi, se l'uomo post-moderno smette di considerare la sua esistenza un compito? Se abdica di fronte all'impegno di essere un animale da disciplinare? Chi educa chi, se “l'animale che prende posizione” smette di farlo e sostituisce una serie di espedienti disutili all'onere di assumersi le proprie responsabilità (quelle legate alla costruzione di un'identità personale autentica)? Chi educa chi, se la coscienza dorme e se approssimazione e non curanza regolano anche i rapporti più stretti, a riprova di una modalità di interazione spesso conflittuale e poco costruttiva? Chi educa chi, se il senso di responsabilità è latitante?


…. Sarà utile ritornare a considerare l'educazione come quell'attività in cui si “riconosce nell'altro, il soggetto di un proprio desiderio nel momento in cui è oggetto delle nostre cure, specialmente in quei momenti della vita, in cui colui che ci è vicino ha particolarmente bisogno di noi o addirittura dipende completamente da noi”. (J.P. SARTRE, L'esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano, 1990) Ed è probabilmente all'interno di questo contesto, che si realizza quel senso di responsabilità che ci qualifica come esseri umani.

La pedagogia è una scienza antinomica, e anche se questi principi sono condivisi da tutti quando si traducono in didattica e diventano arte creativa che “miscela gli opposti”, per cui tutto è possibile, come il suo contrario, chiede per tal motivo a chi educa di far vivere all'alunno un equilibrio tra “sicurezza interiore” e stimolo, fra la possibilità di fare da solo e la possibilità di contare sull'adulto, fra la possibilità di vivere e condividere spazi di relazione dove può sperimentarsi e sperimentare nuovi materiali, forme di gioco, di relazione e luoghi dove può sentirsi rassicurato.

L'insegnante può sollecitare la curiosità di un bambino, o può ostacolarla; può riuscire a soddisfare un bisogno personale e un suo interesse, ma non è detto.

Il modo in cui un insegnante organizza lo spazio nella scuola e nell'aula, la possibilità di accedere al materiale, ma anche il progressivo rispetto di regole chiare, motivate, condivise rendono il bambino, se viene messo in condizione di esserlo, autonomo e responsabile. L'insegnante infatti determina la possibilità di far fare al bambino nuove esperienze , e di riflesso condiziona la possibilità del bambino di pensare e di concentrarsi. Per concentrarsi, di fatto, occorre provare interesse per ciò che si fa , e tempo e tranquillità di percorrere tragitti mentali che offrono prospettive diverse. Per svolgere questo lavoro non bisogna immergere il bambino in troppe sollecitazioni, ma occorre trovare il tempo del piacere, della lentezza, la possibilità di vivere emozioni e relazioni positive.

Per questo motivo non occorre solamente pensare di realizzare progetti trasferibili, secondo modi e tempi stabiliti dagli insegnanti, ma occorre dare l'opportunità affinché il bambino possa scoprirlo secondo i tempi e i modi che preferisce in un clima dove ciò che conta sono le relazioni e il significato che si attribuisce alle cose che ciascun bambino ha elaborato nel suo intimo e nel suo rapporto con le cose, con le esperienze, con gli altri. Viste da questa prospettiva le situazioni che avvengono e che le insegnanti propongono in bagno hanno per i bambini lo stesso valore delle altre situazioni vissute alla scuola dell'infanzia. Anzi il bagno è proprio il luogo della scuola dove è possibile pensare a un continuum di esperienze: basti osservare come i bambini reinterpretano i momenti di cura e si riappropriano degli spazi per creare i loro giochi esplorativi e i loro momenti ludici di tipo simbolico all'interno di un clima relazionale.

Il bagno è un luogo dove oltre a imparare la pulizia personale, a lavarsi le mani con la saponetta, ad asciugarsi le mani prendendo soltanto un pezzo di carta, il bambino impara ad autoregolarsi e a giocare a fare il bagno alle bambole o ai giochi; è uno dei luoghi più importanti della scuola, perché rappresenta la cartina di tornasole sul grado di autonomia e di autoregolazione raggiunto dal bambino. La libertà che ha il bambino in questo luogo è direttamente proporzionata alle possibilità a livello mentale che l'insegnante mette a disposizione nei confronti dell'altro. Il comportamento, l'atteggiamento, le proposte di un insegnante infatti possono sollecitare la curiosità, gli interessi, soddisfare un bisogno personale del bambino, oppure ostacolare tutto questo, fino ad arrivare perfino a “minare” l'autonomia e la sicurezza del bambino, obbligandolo a dei ritmi e tempi molto stretti e imposti. Il rispetto dei diritti e dei doveri nei confronti del bambino si osserva da come l'insegnante agisce nelle piccole cose e soprattutto in tutte quelle attività ritenute marginali, non importanti, che riguardano spazi e tempi, come quelli dello spazio del bagno, e caratterizzano invece un plesso perché emanano “il profumo”, l'identità della sezione e della scuola.

La responsabilità è legata ai diritti e ai doveri di ciascuno. I diritti si sono individuati, ma occorre spesso ricordarli per non dimenticarli, dandoli per scontati. Sebbene il diritto al gioco sia ampiamente riconosciuto nella nostra società, la condizione del gioco è cambiata radicalmente negli ultimi cinquant'anni. È difficile far comprendere ai genitori quanto sia importante che i bambini giochino in una dimensione attiva e partecipativa con l'acqua, con la terra, col fango e che si bagnino o si sporchino. A scuola il tempo libero come quello in bagno diventa spesso tempo organizzato, strutturato e con tempi ben scanditi scelti dagli adulti: non diviene occasione per sperimentare l'autoregolazione. La possibilità di giocare in bagno può divenire invece “spazio di responsabilità” legata alla dimensione attiva e partecipativa: giocare significa assumersi la responsabilità e un bambino che gioca in bagno è sempre responsabile dell'esito del suo gioco e di ciò che fa in rapporto alle regole che sono state condivise.

In ascolto e pronti a segnalare i segnali che provengono dal bambino occorre riuscire a costruire un progetto su ciascuno di loro, a personalizzare l'insegnamento e a riconoscere l'importanza di spazi dove il bambino sperimenti la dimensione della libertà e dell'autonomia.

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