mercoledì 5 novembre 2014

Pensieri in libertà - ottobre 2014. INFANZIA DIGITALE? NO, GRAZIE.

Cinzia Mion

Psicopedagogista, psicologa e formatrice; già dirigente scolastica e già componente della Commissione Pari Opportunità donna-uomo del Ministero della Pubblica Istruzione


È di un paio di anni fa il bel manifesto provocatorio del maestro elementare Franco Lorenzoni, coordinatore della Casa laboratorio di Cenci, inviato all’allora sottosegretario Rossi Doria, dal titolo “Fino a otto anni scuole libere dai computer”. A questa lettera aperta, ricca di argomentazioni psicopedagogiche, rispose Rossi Doria con una lettera-saggio: “Costruiamo aquiloni e navighiamo nel web” in cui si raccomandava in modo molto suggestivo l’uso delle “mani che pensano”, come ama definirle Clotilde Pontecorvo.


Il sottosegretario non poteva sconfessare le scelte del MIUR per cui nel suo intervento coniugava sia la difesa della scuola, che si sofferma sull’apprendimento che solleva domande di senso, sia l’attenzione all’avanzare ineludibile della tecnologia e l’uso del web, naturalmente alla scuola primaria, non di sicuro alla scuola dell’infanzia. È per questo motivo che sono rimasta sconcertata quando a novembre dell’anno scorso ho visto il progetto “lnf@nzia Digitales 3.6”, sponsorizzato dall’azienda italiana “Engineering Ingegneria Informatica”.
Mi rimangono comunque i due testi da cui partire per alcuni personali “pensieri in libertà”, aperti anche all’accusa che non sono di sicuro una nativa digitale, ma provengo da un lungo periodo di formazione psicomotoria rivolta a coloro che hanno a che fare prima di tutto con la propria corporeità a fronte di bambini e bambine reali, presenti con la globalità del loro corpo, emozioni, sentimenti oltre che razionalità.
Recentemente, a rilanciare il dibattito, ci ha pensato Umberto Galimberti su Donna di “Repubblica” nel suo pezzo “Come il computer ci cambia la testa” in cui, dopo aver criticato l’assenza di fisicità nella comunicazione virtuale, avanza anche l’ipotesi che questa eccessiva digitalizzazione portata nella scuola, o almeno auspicata, possa rendere tutti “convergenti” a fronte di una richiesta significativa a livello mondiale di pensiero “divergente”, per risolvere i problemi che il semplice pensiero convergente ha provato ad affrontare senza grandi risultati.
Ho osservato recentemente in Puglia una classe prima di una scuola secondaria di primo grado, completamente digitalizzata, alle prese con i tablet. L’impressione ricevuta è stata di una diffusa eccitazione, una competenza incredibile nel cercare e trovare su Internet informazioni, ma una grande difficoltà ad accedere al pensiero riflessivo. Al posto della competenza connettiva, data dalla fatica di pensare, appariva la velocizzazione impressa dal web e l’ingenua connessione automatica offerta da esso.
Allora, se per i genitori, sollecitati dalla deriva sociale dell’efficienza e produttività con il minor costo possibile in termini di impegno e fatica, la magia del computer ha un fascino irresistibile, bisogna rispolverare il vecchio Neil Postman con il suo Ecologia dei media.

Avere perciò chiara consapevolezza che la scuola non può aderire acriticamente a quelle che sono le richieste del mondo sociale, ma deve apporre il suo filtro psicopedagogico. Di fronte alla sovra informazione dell’era digitale, Postman contrappone la funzione termostatica della scuola, intesa come contropotere.

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