venerdì 17 aprile 2015

Pensieri in libertà - Marzo 2015. VENGO ANCH'IO? NO, TU NO!

di Daniele Barca, 

Dirigente scolastico, Istituto Comprensivo di Cadeo e Pontenure (Pc)

A titolo faceto corrisponde argomento molto serio. A molti di voi, dirigenti o maestre, sarà capitato nella vostra carriera di affrontare il trattenimento di un bambino alla scuola dell’infanzia. Va subito detto che da un anno, a seguito di un pronunciamento del MIUR, tale “pratica” è diventata più difficile, complessa, comunque legata a una riflessione più ponderata. 

Non che prima si prendesse a cuor leggero, ma la nota ministeriale 574 del 2014 ha evidenziato la necessità di una cura maggiore nella decisione: “Sottolineando la straordinarietà e specificità degli interventi in questione […] i Dirigenti Scolastici esaminino i singoli casi con sensibilità e accuratezza […] predisponendo percorsi individualizzati e personalizzati […] solo a conclusione dell’iter sopra descritto, inerente casi eccezionali e debitamente documentati, e sempre in accordo con la famiglia, il Dirigente Scolastico – sentito il team dei docenti – potrà assumere la decisione […] di far permanere l’alunno nella scuola dell’infanzia per il tempo strettamente necessario all’acquisizione dei prerequisiti per la scuola primaria, e comunque non superiore ad un anno scolastico, anche attraverso un’attenta e personalizzata progettazione educativa”.
Parole di premura e di attenzione rispetto a un orientamento – trattenere il meno possibile e favorire l’accesso all’obbligo – dettato dalla natura stessa della primaria, voluta anche nei documenti ufficiali (dalla riforma Moratti ai Bisogni Educativi Speciali, si potrebbe dire più nei documenti ufficiali, forse, che nella realtà), come inclusiva e personalizzata. Ma quando si presenta il caso, quando magari anche gli esperti (ASL, specialisti) suggeriscono un trattenimento e la famiglia è più che favorevole, come si deve comportare la scuola? Ho escluso gli altri casi perché senza le specifiche professionalità del settore e il supporto dei servizi territoriali, che motivino in maniera forte il trattenimento come tempo di crescita, o senza il convincimento, direi meglio l’adesione, della famiglia a un progetto di vita e d’apprendimento diverso, ben poco si può fare, per norma e buon senso.
Può essere però solo una scelta proiettata al futuro presa negli ultimi mesi di scuola dell’infanzia? Dai 3 ai 5 anni lo spettro di potenzialità della crescita sia relazionale che di autonomia, che degli apprendimenti è eccezionale, anche in casi particolari, malattie o disabilità. Soprattutto dove c’è un sostegno sin dal primo approccio alla scuola, non è possibile avviare una personalizzazione che permetta percorsi diversi anche all’inizio della primaria? Coinvolgendo specialisti e famiglia? Insomma, preparare il terreno al passaggio attraverso una personalizzazione proattiva?
Il mio auspicio è che il dopo sia costruito dal prima, che eventuali scelte siano eccezionali proprio perché si rilevino caratteri eccezionali che i percorsi della scuola dell’infanzia – attenta per tradizione alla globalità del bambino – non hanno potuto compensare. Perché la scelta sia consapevole e non dell'ultimo minuto. 

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