giovedì 21 maggio 2015

Pensieri in libertà - Aprile 2015. LA CURA E I CENTO LINGUAGGI

di Daniele Barca
Dirigente scolastico, Istituto Comprensivo di Cadeo e Pontenure (Pc)

Nominando “la cura” non voglio parlare della nota canzone di Battiato, soprattutto accostandola ai cento linguaggi di Loris Malaguzzi. La cura e i cento linguaggi sono, in estrema sintesi, il senso del seminario nazionale sulle Indicazioni per il curricolo sulla scuola dell’infanzia, tenutosi a Bologna il 24 e 25 marzo scorsi, e intitolato: “Infanzia e oltre. 



Una buona partenza per una buona scuola”. A livello istituzionale e nazionale, la realizzazione di eventi di riflessione e testimonianza sulla scuola dell’infanzia non è frequente. Altri ordini di scuola e altre tematiche offrono molte più occasioni.
Questa contestualizzazione iniziale sicuramente influenza le mie parole in libertà, che non sono – avviso – una cronaca fedele, quanto piuttosto una, anzi due riflessioni a posteriori, al netto degli interventi ascoltati che, come previsto, sono stati tutti efficaci, interessanti, motivanti; sia quelli da palco sia quelli provenienti da buone pratiche, visto che nella seconda giornata sono state presentate circa quaranta esperienze da tutte le scuole d’Italia. Insomma una bella boccata d’aria di saperi ed esperienze, di quelle che ti fanno tornare a scuola carico.
Ma torniamo alle mie due idee. Quello della cura è stato indubbiamente il tema più ricorrente: tornare alla relazione forte, empatica, allo sguardo, all’attenzione emotiva... Ma la cura è anche il patrimonio più forte della nostra tradizione di scuola dell’infanzia ed è sicuramente un’attenzione che raramente manca. Oppure no? Con i nostri bambini, tra l’altro, è difficile lasciarsi traviare da altre premure “scolasticistiche” (tipo gli apprendimenti…) perché la loro stessa essenza ci riporta su quel campo, in quel contesto educativo di sguardi che si incontrano. Cito al volo da Luigina Mortari: Prestare attenzione, ascoltare, esserci con la parola viva e germinale, sentire con l’altro, la giusta misura, lasciar essere e chiedere di esserci, con distante prossimità, con delicatezza, con fermezza… ecco, tutto questo è giusto che venga ribadito, ma lo pensavo, onestamente, definitivamente acquisito.
Quello sui “cento linguaggi” è il seminario, tra i nove di buone pratiche, a cui ho partecipato, ma le evidenze delle esperienze sono state al centro di molte relazioni. Forse per la curiosità digitale che mi distingue, resto sempre stupito che il pacchetto tv, linguaggi, giochi digitali sia più o meno esplicitamente esorcizzato. Stupito non perché credo da sempre all’integrazione tra tutti i linguaggi, ma perché i bambini che entrano nelle nostre classi fanno quotidianamente pratica digitale: spetta alla scuola cercare di capire come convivranno digitale e realtà per queste età particolari, oppure essere bilanciamento consapevole (la parola, il corpo ecc.) dell’assuefazione digitale, vietandola.

È primavera (tarda ad arrivare, direbbe sempre Battiato, ma c’è): i parchi si riempiono di bambini alla ricerca di esperienze sensoriali e motorie. I novantanove linguaggi non li ruba nessuno: ma se non ci occupiamo del centesimo (il digitale) come risorsa, davvero esso usurperà gli altri: è più veloce e suadente; e molto più sensoriale ed emozionale di ciò che comunemente a scuola si pensa.

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