lunedì 1 febbraio 2016

Doppio punto di vista - Gennaio 2016. RISCHIO

di Claudia Ottella

Oggi i nostri bambini sono “a rischio”, non per i pericoli che potrebbero incontrare nella loro vita ordinaria, familiare e scolastica, ma all'opposto proprio perché non gli permettiamo più di correre alcun rischio. 


Durante gli ultimi decenni nella moderna società occidentale vi è stata una crescente attenzione verso la sicurezza dei bambini e in modo particolare verso la sicurezza nelle loro attività negli ambienti di gioco, che ha coinvolto sempre più politici, genitori e professionisti dell’educazione.

Il punto di vista delle famiglie
Osservando le nuove generazioni di genitori ci accorgiamo che quasi ostacolano la crescita dei propri figli, che tendono a considerarli sempre piccoli e “non ancora capaci di…”. Il rischio è spesso erroneamente confuso con il pericolo, con la conseguenza che viene fortemente limitata la possibilità di agire in risposta a un’avvertita ansia di protezione, che porta a enfatizzare la “sicurezza” del bambino, percepita come minacciata da azioni apparentemente prive del controllo e della supervisione diretta dell’adulto. Teniamo i bambini al sicuro, quasi agli arresti domiciliari, perché “rischiare non è concesso ai bambini e quei genitori che lo consentono non sono visti come buoni genitori […] ma evitare il rischio equivale a perdere delle opportunità” (L. Vascotto, “Rischio”, in M. Guerra, a cura di, Fuori. Suggestioni nell'incontro tra educazione e natura, Franco Angeli, Milano, 2015).

Il punto di vista dei servizi
L’odierna normativa sulla sicurezza in relazione agli ambienti utilizzati dai bambini influenza in maniera decisa le possibilità di gioco che noi offriamo loro. Se è vero che di recente l’attenzione sulla sicurezza riguardante gli spazi gioco di parchi, scuole e asili è aumentata in maniera significativa, la domanda che ci dobbiamo porre è se questa regolamentazione porta a effettivi benefici. Oggi i nostri servizi dovrebbero aprirsi a pratiche e azioni centrate su un’idea reale di bambino competente e questo significa che accentuare l’attenzione sulla sicurezza può essere problematico se, nell'esagerato tentativo di proteggere i bambini evitando loro qualsiasi possibilità di danno, limitiamo eccessivamente possibilità d’esperienza e di stimolo importanti per la loro crescita. Il bambino è in pericolo davvero oggi, ma perché è portato “all'inazione”. Le nostre azioni educative rischiano di diventare anti-pedagogiche se continuiamo a sottrarre lui le esperienze nella realtà vera dove sono il corpo, il movimento, i sensi, le relazioni concrete con le cose e con le persone a guidare la sua maturazione.

Il senso autentico dell’educazione, a scuola come in famiglia, dovrebbe essere quello di aprire le possibilità, i “campi” d’esperienza al bambino, non di chiuderli. Ciò che i bambini dovrebbero poter fare è rischiare e provare a superare da soli quelle difficoltà che invece preventivamente gli facilitiamo, esplorare in autonomia ciò che invece tendiamo preventivamente a svelargli, porsi domande e cercare risposte prima che siamo noi a dargliele. Dobbiamo quindi riflettere, sia come educatori che come genitori, sulla nostra iper-protezione tanto amorevole quanto dannosa e provare a pensare insieme a una progettazione che affronti i rischi non come realtà da cui porsi al riparo ma come opportunità di crescita.


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